La gestione dei rifiuti in Italia: la storia

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Ti sei mai chiesto come si è arrivati all’attuale sistema di gestione dei rifiuti? Hai mai pensato al motivo per il quale noi oggi facciamo la raccolta differenziata? Vorresti conoscere come sono andate le cose nel mondo dei rifiuti in Italia negli ultimi 30-40 anni? Allora questo è l’articolo che fa per te.

Mettiti comodo, la storia sta per cominciare.

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Gli anni ’70 e ’80: incenerimento e discariche

Prima di iniziare bisogna capire cosa si intende per gestione dei rifiuti.

Possiamo definire la gestione dei rifiuti come una serie di processi concatenati che ha come fine ultimo la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente. 

Per gestire in modo efficace i rifiuti è necessaria la collaborazione di varie discipline (pianificazione territoriale, economia, sanità, ingegneria ecc.) e per questo motivo si tratta di una materia molto complessa e articolata. 

La serie dei processi che ho citato poco fa inizia sicuramente con il controllo della produzione dei rifiuti e, quindi, con la fase di realizzazione degli oggetti da parte delle case produttrici (ci sarebbero meno rifiuti da gestire se le aziende producessero oggetti duraturi e facilmente riutilizzabili). 

Successivamente si ha il processo di raccolta dei rifiuti, del trasferimento e trasporto, dello stoccaggio,  della lavorazione e infine dell’eventuale smaltimento. 

Quello di cui ci occuperemo in questo articolo sarà in particolare la fase di trattamento finale dei rifiuti.

Facciamo partire la nostra storia dagli anni ’70-’80.

Negli anni ’70-’80 non si faceva la raccolta differenziata, non esisteva il concetto di gestione dei rifiuti, i rifiuti si smaltivano.

E basta.

La tipologia impiantistica era costituita da discariche e inceneritori.

E basta.

In quel periodo si producevano sicuramente molti meno kg di rifiuti rispetto a oggi ma, tutti quelli che si producevano, venivano condotti verso le bocche di un inceneritore.

Questi impianti erano dei veri e propri “forni” che bruciavano i rifiuti con il solo scopo di ridurne il volume.

Non possiamo parlare di impianti di termovalorizzazione simili a quelli moderni dal momento che non si recuperava energia (calore o elettricità) e non erano presenti complessi sistemi di controllo.

Ciò significa che nei primi anni ’70 molte città italiane bruciavano i rifiuti.

E basta. Le discariche venivano usate solo nei piccoli paesi.

All’improvviso, però successe qualcosa di inaspettato e questi forni iniziarono piano piano a sparire. Perché? Cosa è successo in quegli anni che ha fatto drasticamente cambiare opinione a tutti?

Il Disastro di Seveso

gestione dei rifiuti seveso
Disastro di Seveso

10 luglio 1976: il celeberrimo Disastro di Seveso.

Un incidente causò una fuga di diossina da una industria chimica che andò a investire parte della Brianza, in particolare Seveso: 70 mila abitanti evacuati. Nasce la “diossinofobia” (passatemi il termine!).

Parte la caccia a questo particolare composto e si finisce per trovare diossina negli scarichi degli inceneritori (in Olanda). Questo evento cambia la storia della futura gestione dei rifiuti in Italia.

Qual è stata la reazione all’incidente e al ritrovamento delle diossine nei camini degli inceneritori?

Le strade percorribili erano due: 

  • cercare immediatamente una soluzione intelligente al problema studiando dei modi per evitare che i forni producessero diossina o che la diffondessero in grandi quantità;
  • reagire in modo emotivo criminalizzando gli inceneritori.

In alcuni Stati (come presumibilmente la Germania) si adottò la prima soluzione. 

In Italia invece la reazione è stata emotiva, non ragionata, d’impulso. Si è deciso di chiudere un gran numero di inceneritori.

Il libro “Ingegneria dei Rifiuti Solidi” edito della McGraw Hill Education dice così:

” In alcuni Paesi prevale la discarica per motivi legati anche agli enormi spazi disponibili (USA, Canada, Francia), o per motivi economici e regolamentari (Gran Bretagna, Italia, Spagna ecc.). In altri Paesi, per motivi opposti, prevale l’incenerimento: Giappone, Svezia, Olanda, Danimarca ecc. Quando l’alternativa tra i due sistemi diventa più dialettica […] scoppia in Olanda un caso diossina che in Italia assume una valenza travolgente, anche sulla scia del drammatico incidente noto come “caso Seveso”. Da quel momento, siamo negli anni ’70, l’incenerimento viene criminalizzato, diventa una tecnologia da evitare, si chiudono molti impianti esistenti (San Donnino a Firenze, 12 forni a Roma, due forni a Perugia ecc.) e non se ne autorizzano di nuovi, tanto da rendere difficilissimo anche lo smaltimento dei Rifiuti Sanitari, che devono essere inceneriti per legge. “


Ma quindi alla fine è stata una “fortuna”!


Un attimo… Diciamo si e no!

Ragioniamo su quale è stata la conseguenza di questa decisione: (a ragione) la paura della diossina serpeggia, l’opinione pubblica si ribella contro gli inceneritori, ha inizio dell’era delle discariche in Italia.

Il boom delle discariche e la crisi dei rifiuti

Negli anni ’80 parte il boom delle discariche (dal quale nasce ad esempio Malagrotta a Roma: la più grande discarica d’Europa divenuta nuovamente famosa recentemente per il sospetto di infiltrazioni mafiose).

La criminalizzazione degli inceneritori ha condotto l’Italia a cospargersi di discariche per la fortuna delle tasche di molti imprenditori.

Continuiamo a ragionare.

Secondo te quale è la caratteristica fisica principale delle discariche?

Esatto, le discariche hanno bisogno di spazio, di molto spazio. Da qui si può immediatamente intuire che le regioni con una densità abitativa molto alta non sono adatte ad ospitare discariche.

Nel 1995 la discarica di Milano viene saturata e la povera Madonnina è costretta a guardare dall’alto una marea di rifiuti per le strade.

Il caso di Milano è emblematico. Gli effetti delle decisioni dei primi anni ’80 si iniziano a riversare negli anni ’90.

All’epoca la città meneghina era al pari della Napoli di qualche anno fa. Un articolo de La Repubblica recitava:

Il borsino dei rifiuti è arrivato a quota ventimila: tante sono le tonnellate di spazzatura che hanno invaso le strade di Milano o sono state ammassate sui piazzali di raccolta dell’ Amsa. Dai primi di novembre Milano non può più portare i propri rifiuti nella discarica di Cerro Maggiore…

L’Italia è ormai diventata totalmente dipendente dalle discariche ma costruirne altre risulta impossibile: un cane che si morde la coda.

Non si riusciva a realizzarne di nuove non tanto perché la popolazione si ribellava alla loro costruzione bensì perché non c’era più spazio per realizzarle.

L’opinione pubblica del periodo era contraria agli inceneritori come anche lo è ora: ascolta l’intervista a Ercolini.

Tutto ciò ha portato a una crisi che ha messo in luce la cattiva gestione dei rifiuti negli anni precedenti.

Cosa ha contrastato un po’ questa crisi? Risultava ormai evidente a tutti che le discariche non potevano essere la soluzione al problema rifiuti e quindi lentamente tornano in auge gli inceneritori.

Dopo il bando del 1976 si notò che gli altri Paesi avevano comunque continuato a usare l’incenerimento (Svizzera, Giappone, Germania, Austria, Svezia, Danimarca ecc…) e quindi si cercò di imparare da loro.

In quei Paesi si era affrontato il “problema diossina” passando dai “forni” (che non facevano altro che bruciare i rifiuti) agli inceneritori moderni controllati e con recupero energetico (nei paesi freddi nasce subito l’idea di produrre vapore dai rifiuti per il riscaldamento delle case).

Prime prove di recupero e riciclaggio

Un’altra timida opposizione alle discariche parte con la nascita dei primi impianti di recupero e riciclaggio. Si trattava di impianti enormi fatti di vagli, trituratori, separatori idraulici, flottatori, separatori magnetici, separatori ottici ecc…

Tu mi potresti dire: “aaah finalmente recupero e riciclaggio” e io ti risponderei “mmmm NI!”

La prima idea di riciclaggio venne ad alcune famiglie intorno agli anni ’50. Il metodo che usavano è davvero curioso!

Senza nessun divieto ufficiale da parte dello Stato, il veicolo che raccoglieva i rifiuti, li lasciava in uno spiazzo opportunamente recintato. 

Dopo aver disposto perbene i rifiuti, venivano fatti entrare nel recinto i maiali che mangiavano tutta la frazione commestibile lasciando solo qualche frazione inorganica come tessuti, vetro, plastica, ferro ecc.. 

A questo punto si dividevano i rifiuti rimasti per materiali e li si vendevano ad esempio alle cartiere, alle ferriere o alla vetrerie.

Una sorta di raccolta differenziata ante litteram! 

Tutto ciò finì però nel 1958 quando scoppia la pesta suina e quando le autorità sanitarie riconoscono in questa pratica una delle possibile cause. 

Dal ’58 fino agli anni ’80 si susseguirono una serie di iniziative senza troppo successo. 

Nel 1980, per esempio a Roma e a Perugia iniziavano a nascere delle iniziative più strutturate e articolate. 

In appositi impianti dal rifiuto cartaceo si creava pasta di carta da vendere alle cartiere, in altri mangime zootecnico, in altri ancora si recuperavano materiali ferrosi o plastici.

Questi impianti però, soprattutto per una mancanza di lungimiranza politica e societaria chiusero intorno al 1985.

Inoltre, uno dei problemi tecnici che presumibilmente avevano gli impianti dell’epoca era che lavoravano sul rifiuto tal quale, cioè sul rifiuto indifferenziato (non dimentichiamoci che all’epoca la raccolta differenziata non esisteva).

Cosa comportava lavorare con rifiuto tal quale?

  • Rese di separazione dei materiali basse;
  • Qualità dei materiali recuperati bassa;
  • Frazione umida recuperata pressoché  inutilizzabile per fare compost di alta qualità (era sporcato da pezzi di plastica, vetro, polveri ricche di inquinanti).

Quindi, alla fine della fiera, questi impianti di riciclaggio nascono e muoiono nell’arco di pochi anni.


Ma, fermiamoci un attimo. Scrivere questa storia mi sta appassionando non poco. Spero di riuscire a coinvolgere anche te che stai leggere almeno la metà di quanto mi senta coinvolto io.

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Gli anni ’90: l’Unione Europea e il sistema integrato di gestione dei rifiuti

sistema integrato di gestione dei rifiuti

Ricapitolando super schematicamente, gli impianti che si avevano all’epoca erano:

  • Molte discariche;
  • Qualche inceneritore.

Tutto questo discorsone per dire che in quegli anni si parlava solo ed esclusivamente di smaltimento e non tanto di trattamento o gestione dei rifiuti.

Mentre in Italia succede tutto ciò in Germania accade qualcosa di storico: crolla il muro di Berlino.


Ehi Robè, ma cosa c’entra la caduta del Muro con la gestione dei rifiuti??


C’entra c’entra! Questo evento storico è quello che dà il via libera alla costituzione di un’Europa sempre più unita e compatta.

E infatti da questa nuova Europa nei primi anni 90’ nascono le prime direttive europee sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sugli imballaggi che mettono le basi per tutta la gestione dei rifiuti futura.

Un’altra data fondamentale da ricordare, in conseguenza alla caduta del Muro, è il 7 febbraio del 1992: viene firmato il Trattato di Maastricht che sancisce la nascita dell’Unione Europea (il trattato entrerà in vigore il 1° novembre 1993).

La neonata UE prende sempre di più in mano la situazione e si pone come obbiettivo la riduzione drastica di ciò che va in discarica e ad incenerimento.

Si mette quindi in piedi il Sistema Integrato di Gestione dei Rifiuti, un sistema gerarchico che è ancora valido oggi nonostante ormai ci si stia sempre più spostando dal concetto di economia lineare a quello di economia circolare.

Gerarchia e Decreto Ronchi

gerarchia dei rifiuti
Immagina tratta da Letture.org

In parole povere il sistema integrato di gestione dei rifiuti dice che il rifiuto non va trattato o smaltito ma va gestito e che nel gestirlo bisogna seguire un approccio gerarchico.

Preferenzialmente bisogna fare una cosa e, se non si riesce a farla, se ne fa un’altra. Quali sono queste “cose” da fare?

Praticamente sono i principi di cui ho parlato in “Come vivere green e risparmiare” esposti anche nel video “ABC Rifiuti“:

  • Riduzione
  • Riutilizzo
  • Riciclaggio (recupero di materia prima)
  • Altre forme di recupero
Scriviamo in altro modo la gerarchia di gestione dei rifiuti per renderla ancora più chiara:
  1. Prima si deve valutare la possibilità di riutilizzare un oggetto o un prodotto per evitare che esso diventi rifiuti (stiamo praticamente parlando del concetto di prevenzione);
  2. se non si può riutilizzare si deve cercare di riciclarlo (cioè si devono recuperare le materie prime dall’oggetto ormai diventato rifiuto per dare una seconda vita alle materie, che sia essa uguale o diversa dalla precedente);
  3. se non si possono più recuperare materie prime per il riciclo si passa al recupero di energia (leggasi termovalorizzazione) e quindi poi alla discarica.

Nel 1997 come recepimento delle suddette direttive europee in Italia nasce il Decreto Ronchi. L’impatto di questo decreto è storico.

Si capisce finalmente anche in Italia che il sistema adottato fino ad allora era diventato insostenibile. Se non altro perché non era più possibile trovare spazio per costruire nuove discariche e perché la popolazione non voleva (e non vuole tuttora) che si costruissero altri inceneritori.

CONAI e imballaggi

Nel Decreto Ronchi si parla inoltre per la prima volta degli imballaggi.

Si riconoscono gli imballaggi come i principali “produttori” di rifiuti e si decide di fare qualcosa a riguardo istituendo il CONAI (COnsorzio NAzionale Imballaggi).

Per ora è tutto. Siamo partiti dagli anni 70’ e siamo arrivati fino al 1997. Scriverò sicuramente altri articoli che porteranno il racconto dal 1997 fino ai giorni nostri in cui parlerò in modo approfondito degli imballaggi e del CONAI. Tenete gli occhi aperti!

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